...Spero che il suo ricordo non venga mai dimenticato, perchè quello che ha fatto, offrendo la sua vita per amore della sua patria, lo colloca nel luminoso firmamento degli eroi, che con il loro agire hanno reso grande il nostra Paese.
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venerdì 7 ottobre 2011

Terenzio Baldovin

Terenzio Baldovin in uno scatto giovanile


Terenzio Baldovin (Lozzo di Cadore - Bl-, 5 aprile 1926 – Obertraubling, 3 aprile 1945), giovane martire per la libertà deportato in Germania.

I primi diciott’anni

Terenzio nacque il 5 aprile 1926 in un piccolo paese della provincia di Belluno, Lozzo di Cadore, da Lorenzo e Dolores Da Pra . La sua infanzia trascorse tranquilla, frequentò la scuola elementare con ottimi risultati, come possono a tutt’oggi testimoniare le sue pagelle, in cui il giudizio lodevole si affianca a numerose materie. All’età di 17 anni (10 ottobre 1943), a Treviso, gli venne consegnato il diploma di ammissione al corso superiore dell’Istituto Magistrale: il giovane Terenzio, quindi, sarebbe dovuto diventare un insegnante, ma gli avvenimenti coevi scombinarono i suoi piani.

L’impegno nelle fila della Resistenza

Terenzio, come giovane Volontario della Libertà, decise di prendere parte alla guerra civile che stava insanguinando la sua Italia negli anni ’40: il 15 giugno 1944, infatti, aderì alla Brigata CALVI e, quindi, prese parte all’azione partigiana che si andava sempre più organizzando in Cadore, con il nome di battaglia di “Messicano”. Dalle testimonianze che è stato possibile raccogliere, emerge che Terenzio non si macchiò di azioni criminose, né tanto meno approfittò della confusione di quegli anni per compiere soprusi o ingiustizie.
Il 21 settembre 1944 i partigiani organizzarono un attentato ai presidi militari tedeschi delle dighe di Auronzo di Cadore e del Comelico: i soldati del Terzo Reich provvidero a rappresaglie, e, nei mesi che seguirono ( ottobre-novembre ) si recarono in ogni paese in cerca dei possibili colpevoli. Il 30 novembre 1944 essi raggiunsero anche Lozzo di Cadore, e radunarono tutti gli uomini in piazza, per passarli in rassegna, minacciando di bruciare il paese nel caso non si fossero presentati i responsabili. Il parroco, allora, si recò da Dolores Da Pra, la madre di Terenzio, perché chiedesse al figlio di presentarsi in piazza: la rassicurò, spiegandole che non doveva preoccuparsi, perché nella lista che egli aveva avuto modo di visionare, il nome di Terenzio non c’era. E il nome non poteva esserci, dal momento che il giovane era assolutamente estraneo a quell’attentato. Dolores  andò a riferire al figlio quanto le aveva intimato il sacerdote, ma, presa da un presentimento tutto materno, gli suggerì di scappare. Questi, però, facendo eco al parroco, tranquillizzò la madre, assicurandole di essere innocente, e, indossato l’impermeabile e alzatone il bavero, si diresse impettito verso la piazza. In un primo momento tutto andò come previsto, dato che nel controllo iniziale il nome di Terenzio non comparve; in un secondo appello, però, il giovane fu trattenuto assieme a un altro partigiano del paese, a causa di una delazione traditrice, proveniente proprio da un loro compaesano, che, si presume, non li denunciò come artefici dell’attentato, ma semplicemente come partigiani. I due vennero così condotti nel campo di concentramento di Bolzano.

Terenzio Baldovin


La prigionia

Il lager di Bolzano era il punto di smistamento e di eventuale partenza per la Germania. Sulla base delle disposizioni ricevute, i detenuti venivano mandati a lavorare nei dintorni, oppure deportati in altri campi. Le condizioni di vita all’interno del campo di Bolzano erano durissime, come testimoniano molti passi delle due lettere al mese che ai prigionieri era consentito spedire e ricevere. 



Questo il primo biglietto che Terenzio poté scrivere dal campo:

Mamma mia,
son arrivato ieri a Bolzano; sto abbastanza bene, lo credevo peggiore. Qui posso scrivere due lettere al mese, e riceverne altrettante. La Speranza, unica Dea che mai abbandona gli afflitti, mi seguirà, assieme all’anima di mio padre, della vostra e della mia amata, fino al ritorno che spero vicino. Non abbiate pensiero per me: so vivere e 
mai mi abbatterò. Salutate la mia Iva, ditele che tornerò, che qui non vivo che per voi e per lei. Questo mondo stupido cesserà di avvampare, e allora sarò felice.
Speditemi al più presto cibo, sapone e denari. Baciate forte Edvige per me, fate che non si scordi di suo fratello. Arrivederci, Terenzio.

Biglietti di Terenzio Baldovin dal campo di Bolzano


Il giovane, come avrà modo di scrivere più tardi, soffriva enormemente la fame:

Non fate conto del rancio che qui mi danno, perché è assolutamente trascurabile. […] La nonna come sta? Ditele che se tornerò non mi lamenterò più, perché ho provato e ancor peggio visto cose orrende in rapporto specialmente alla fame. 

E ancora:

Mamma mia,
io sto bene, ma qui non vedo neanche più i fili spinati dalla fame. Mandatemi le tessere del pane e sigarette. Arrivederci, Terenzio.

I due estratti provengono da alcuni scritti che i prigionieri facevano avere alle detenute che uscivano per lavorare fuori dal campo, e che, a rischio della vita, nascondevano questi biglietti nelle trecce, in modo da poterli far pervenire alle famiglie.
Significativa è la testimonianza che emerge da una delle lettere di Terenzio, in cui egli spiega come, scambiando le sigarette e le tessere del pane, ci si potesse procurare beni di prima necessità, altrimenti irreperibili.

Dalle testimonianza che è stato possibile raccogliere sulla vicenda di Terenzio, si delinea il profilo di un giovane dagli ideali forti e coerenti, come dimostrano le univoche notizie circa il suo atteggiamento nei confronti dei tedeschi: egli, infatti, rifiutava di collaborare con loro in alcun modo, evitando qualsiasi forma di interazione. Questo comportamento lo rese sospetto agli occhi dei carcerieri, ma fu un episodio ben preciso quello che lo condannò alla sorte peggiore.
Un giorno, infatti, ai deportati fu intimato di rinnegare la propria nazionalità, sputando sulla bandiera italiana: per tutta risposta Terenzio gridò “Viva l’Italia!”, ma il suo coraggio gli costò la detenzione nel Blocco E, riservato agli internati ritenuti pericolosi. Avrebbe potuto scegliere la via più semplice, sconfessando ciò in cui aveva sempre creduto, ma per lo meno avrebbe potuto salvare la sua ancora giovanissima vita. E invece il giovane non sembrò mai pentirsi di questa scelta, come testimonia un biglietto inviato a una famiglia del suo paese:

Famiglia onorata, non so scegliere tra la prigionia e la libertà, perché entrambe sono senza scopo di vivere. Vostro Terenzio.

L’interpretazione di una frase così forte, soprattutto se scritta da un ragazzo, allora neanche maggiorenne, impietrisce d’ammirazione, in quanto Terenzio lascia intendere che non avrebbe trovato scopo nemmeno nella sua giovane vita, se avesse misconosciuto i valori in cui credeva.

La scoperta della paternità

La fidanzata, Iva Da Sacco
Il coraggio e la coerenza del giovane risultano ancora più significativi se si considera che nel novembre del 1944 la fidanzata, Iva Da Sacco, si accorse di essere incinta: la ragazza, non volendo limitarsi a scrivere la notizia al giovane, decise di recarsi nei pressi del campo, nel disperato intento di vederlo, e di raccontargli di persona la scoperta. Purtroppo, però, il tentativo fallì, dal momento che, come ebbe a ricordare poi la stessa Iva, le era stato impossibile avvicinarsi al campo a causa dei proiettili sparati dalle guardie proprio attorno a lei.
Rassegnata, la ragazza consegnò un bigliettino contenente il proprio segreto ad una detenuta del suo paese che poteva uscire dal campo per lavorare a Gries, e fu proprio quest’ultima che riuscì a consegnare a Terenzio la missiva che  lo informava della situazione.
Non è dato sapere quali sentimenti agitassero l’animo del giovane, ma è certo che egli ad un amico affidò non solo il compito di giurare alla propria madre che quel figlio era suo, ma anche uno scritto, datato 15 gennaio 1945, in cui si dimostrava consapevole delle conseguenze del rapporto avuto con la fidanzata, con riferimenti espliciti a chi, forse, non conoscerà suo padre.
Da quanto scrive il giovane, dunque, emerge come andasse offuscandosi in lui la speranza di tornare, mentre la realtà diventava sempre più tragica.

L’ultimo viaggio

Lorenzina Baldovin reca omaggio alla tomba paterna nel cimitero di Monaco di Baviera
Il 19 gennaio 1945 il giovane Terenzio viene deportato in Germania, destinazione Flossenbürg, in Baviera, con l’ultimo convoglio partito da Bolzano, prima che la ferrovia fosse fatta saltare dalle forze alleate. Terenzio , al suo arrivo a Flossemburg, dopo la quarantena, il 20 febbraio 1945 venne  destinato al sottocampo di Obertraubling, dove morì il 3 aprile 1945, due giorni  prima del suo diciannovesimo compleanno e nemmeno due mesi prima della nascita della sua bambina.



La memoria di Terenzio Baldovin

Lorenzina Baldovin, il “nascituro” che appunto non conobbe mai il proprio padre, è stata riconosciuta come figlia di Terenzio Baldovin attraverso la sentenza del Tribunale di Belluno del 15 aprile 1948, in cui i documenti chiave sono state la testimonianza dell’amico ,Calligaro Vincenzo, detenuto anche lui nel campo di Bolzano, il quale ebbe la fortuna di tornare e consegnare il biglietto alla nonna Dolores.
E a Lorenzina si deve la ricostruzione della vicenda paterna, attraverso tutta una serie di ricerche e di graduali scoperte, che cominciarono dopo la morte del patrigno (1976) che amorevolmente l’ha cresciuta sin dal 1948.
L’instancabile attività della figlia ha permesso il rientro dei resti del padre nella sua amata Italia, a Lozzo di Cadore, in particolare, il Paese natale, che Terenzio ha voluto salvare dalla rovina tedesca, presentandosi in quel lontano 1944.  In nome di questo coraggio la figlia ha più volte sollecitato, purtroppo, finora inutilmente, le varie amministrazioni di Lozzo, perché attribuissero un riconoscimento a quel giovane che sacrificò la cosa più cara per un uomo, la sua stessa vita, per salvare il proprio Paese e la sua gente da sicura rappresaglia tedesca. 
L'unico riconoscimento ufficiale risale al 2009, quando gli è stata attribuita la Medaglia d'Onore da parte della Presidenza della Repubblica, tramite il Prefetto della città di Belluno. 

I funerali di Terenzio Baldovin a Lozzo di Cadore, dopo il rientro della salma in Italia

 L'appello

La tumulazione di Terenzio Baldovin nel cimitero di Lozzo
L'impegno instancabile della figlia Lorenzina, che non ha mai smesso di raccontare la storia del padre, ha  portato a numerosi riconoscimenti nei suoi confronti, da parte di molte associazioni a livello nazionale, oltre al faticoso rientro della sua salma in Italia. Rammarica, però, constatare come una vicenda così intrinsecamente legata al paese di Lozzo di Cadore, non trovi riscontro proprio in questa realtà, per cui il giovane Terenzio ha sacrificato la propria stessa vita. L'obiettivo più grande, dunque, è innanzi tutto far conoscere la vicenda di questo ragazzo al paese per il quale morì, nella speranza che, grazie magari anche alle nuove generazioni, gli venga tributato l'onore che merita. L'appello, allora, è rivolto a tutti i lettori, perchè, anche solo attraverso i loro commenti, possano dimostrare come ormai il velo della storia renda possibile, se non addirittura necessario, il superamento delle ideologie aprioristiche, in un approccio più sincero e obiettivo al passato nazionale. 
Naturalmente si invita chiunque disponesse di ulteriori informazioni a prendere contatti con i gestori di questo blog, a mezzo mail o commento. Grazie.

Gazzettino di Belluno, 14/12/2011


 
Bibliografia e sitografia

·      AAVV, Protagonisti – Rivista bellunese di storia e cultura contemporanea, n. 98/2010
·      www.deportati.it